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Gen16
Pasta madre, il segreto della buona panificazione
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Negli anni antecedenti la seconda guerra mondiale in Italia, in ogni casa si trovavano le madie, armadi di legno, che al loro interno, come uno scrigno, conservavano la pasta fermentata.
La loro funzione è stata soppiantata dall’introduzione del lievito di birra che ha trasformato rapidamente la qualità del nostro pane, i ritmi di lavoro e le nostre abitudini domestiche. L’invenzione, o meglio la selezione di questo lievito, il Saccoromicens cerevisiae, risale all’Ottocento e segnò un vero passaggio epocale nella storia dell’alimentazione, imponendosi successivamente, nel caso dell’Italia rurale molto dopo, come prodotto e cace, facile da riprodurre e commercializzare.
Dal punto di vista chimico si tratta di una semplificazione: una sorta di accelerazione del processo, un atto di prestigio che riesce a produrre un rapido rigonfiamento degli impasti. Il lievito di birra è capace di attivare unicamente una fermentazione alcolica, in cui i lieviti, cibandosi di zuccheri, producono etanolo e anidride carbonica. Queste sacche di gas, che rimangono intrappolate nelle maglie del glutine, evaporano in cottura formando i caratteristici alveoli e rigonfiamenti. Negli impasti a lievitazione naturale con pasta madre invece interviene anche la fermentazione lattica che migliora la digeribilità del pane e l’assimilazione delle proteine e degli altri oligoelementi da parte del nostro intestino. Se si utilizza la pasta madre, a voler essere rigorosi, non si dovrebbe usare neppure la parola lievitazione. La fermentazione dell’impasto avviene infatti non attraverso i lieviti, ma soprattutto per mezzo di diverse specie di batteri lattici del genere Lactobacillus, che provocano un’autentica trasformazione chimica dell’impasto, migliorando le qualità organolettiche e nutrizionali del prodotto finito, in particolare se si utilizzano farine integrali o semintegrali. Queste ultime, come tutte le crusche, sono infatti più ricche di acido fitico, un antinutriente che si lega facilmente ai minerali contenuti nella farina, rendendoli indisponibili per l’organismo umano. Una ragione in più per privilegiare la pasta acida, soprattutto nel caso si voglia consumare pani più ricchi di fibra, con un impasto più digeribile. I fermenti della pasta acida inoltre sono in grado di ostacolare lo sviluppo dei microrganismi e dei funghi patogeni tra cui la Candida albicans. Grazie alla maggiore acidità, il pane rimane più a lungo fragrante e conservabile.
Molte panetterie oggi ci presentano un vasto assortimento in cui non possono mancare i prodotti con la dicitura “a lievitazione naturale”. Ma cosa vuol dire esattamente? La definizione è piuttosto confusa. C’è chi usa i lieviti secchi, con percentuali variabili di lievito di birra, c’è chi semplicemente aggiunge un po’ dell’impasto da riporto. C’è chi con questa terminologia esclude semplicemente il ricorso ad altri agenti lievitanti di origine chimica.
La domanda interessante è un’altra: chi sa ancora usare la pasta madre oggi? Se nel mondo della panificazione domestica il contagio ha raggiunto a livelli avanzati, nell’ambito industriale, o anche solo artigianale sono ben pochi i panettieri di- sposti a cimentarsi con i vecchi strumenti dell’arte bianca come il lievito madre, o con le farine macinate a pietra ricavate da grani tradizionali. Il primo passo in questa direzione è saper rinunciare alle farine cosiddette arricchite, a cui vengono aggiunti degli additivi, che la legge consente senza il bisogno di diciture particolari.
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